lunedì 18 settembre 2017

Ospedale Santa Lucia, Intervista a Carlo Rossetti

A destra nella foto, Carlo Rossetti, Presidente Onorario di Aisa Onlus (Fonte: Reti Solidali)


Il Presidente onorario di Aisa Onlus: "Al Santa Lucia ho assistito a veri e propri miracoli"


Nell'ambito della nostra azione contro i tagli attuati dalla Regione Lazio all'alta riabilitazione neuro-motoria e a sostegno della sopravvivenza dell'Ospedale Santa Lucia, pubblichiamo un intervista a Carlo Rossetti, Presidente Onorario di Aisa Onlus e testimone e storico di come l'Ospedale ed i suoi servizi innovativi, insieme alle attività di ricerca, abbiano cambiato il panorama romano ed italiano in questo delicatissimo ed essenziale settore sanitario.


Un racconto del tuo impegno come Presidente onorario della  AISA Onlus (Associazione Italiana per la Lotta alle Sindromi Atassiche). Cosa ti ha motivato, in origine, ad impegnarti in prima persona nell’associazione?

Era il lontanissimo 1990, in tv vidi l’allora presidente AISA Nazionale Adele Cassani parlare di “atassia di Friedriech”. Dato che si trattava della mia diagnosi avuta anni prima da un luminare dell’Università La Sapienza di Roma, decisi di chiamare il numero in sovraimpressione. A quei tempi ancora viaggiavo molto per lavoro, avevo 3 aziende al 33% ed ero il responsabile Tecnico-commerciale e Qualità di una società elettrochimica con clienti in tutto il mondo,  e l’occasione volle che mi trovavo a Torino durante un congresso nazionale dei pazienti. Fu li che conobbi AISA e le varie atassie.
L’impulso fu di fuggire da sedie a rotelle, pannoloni e cateteri, difficoltà estreme di linguaggio, cecità ecc. ecc. …da una prospettiva di peggioramento della mia condizione , camminavo con il bastone ma ancora speditamente. Partii per Roma sconvolto, con in tasca il numero di telefono di una specialista della Sapienza, e la richiesta della presidente AISA di dare vita ad una sezione nel Lazio, a quei tempi l’associazione era molto piccola ed era presente in Campania, Lombardia, Piemonte, Toscana e Abbruzzo.
Dopo tre mesi di riflessione decisi di impegnarmi per migliorare la qualità di vita di pazienti e famiglie, lottare per debellare i mostri chiamati atassie ma vivendo l’ambiente industriale e avviando aziende mi resi immediatamente conto che occorreva potenziare la produzione (attraverso la raccolta fondi), creare servizi, aumentare le filiali (AISA Regionali), fare comunicazione (pubblicità), creare relazioni esterne (fare o inserirsi in reti e fare lobby)…iniziai a lavorarci su.
Nel 1991 fondai AISA Lazio, e fui eletto vicepresidente nazionale nel 1994, nel 2000 mi fu affidata la presidenza nazionale e sollecitai nei quasi 9 anni successivi la nascita delle AISA Regionali in Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Marche, Sardegna, Sicilia, Puglia, Basilicata e la creazione di un network interno che comprende AISA Sport poi diventata ASD per proprio conto, AISA Mobile, AISA Eventi, AISA Cultura, AISA Play ecc. i nomi sono esplicativi.
Nel frattempo la mia diagnosi era stata cambiata in atrofia con “atassia di Charcot Marie Thoot” teoricamente avrei dovuto cambiare associazione ma almeno nel Lazio AISA stava trasformandosi in una associazione cross-disability con 4 sedi Roma, Aprilia, Castel Gandolfo, Ciampino e gruppi promotori a Viterbo e a Frosinone quindi sono rimasto. Ora svolgo attività come presidente onorario nazionale e responsabile dei rapporti Istituzionali e Federativi.

Un tuo ricordo personale, se ritieni e se ti va, che ti lega al primo incontro con le terapie riabilitative di eccellenza del Santa Lucia.

Chi è affetto da una patologia neurologica progressiva ha il bisogno, che io definisco vitale, di attività fisica e soprattutto di fisioterapia mirata e specialistica. Nel 1998, stanco di girovagare per centri fisioterapici dove le terapie si riducevano a sedute di 20 minuti con il terapista impegnato contemporaneamente con 2 -3 anche 4 pazienti, provai ad andare al Santa Lucia su indicazione di altri utenti che frequentavano l’AISA.
Il Santa Lucia non era quello che è oggi, ma aveva già la piscina e terapisti competenti che si dedicavano ad un solo paziente alla volta con sedute di 45 minuti, un altro mondo rispetto a quello che conoscevo.
Non ho più lasciato questo ambiente, l’ho visto crescere, ho assistito ai continui miglioramenti, ho conosciuto una quantità di persone sempre precise nel loro lavoro e sempre con il sorriso sulle labbra, dai giardinieri agli addetti alle pulizie, dai barman agli ausiliari, dagli infermieri ai terapisti, dai medici agli amministrativi, dai dirigenti al dott. Luigi Amadio. Amadio è stato una grande perdita, diventato nel tempo un caro amico, ha voluto dare al Santa Lucia un valore aggiunto: l’accoglienza.
Per molti utenti il Santa Lucia oltre ad essere la fonte del loro benessere psicofisico, è una sorta di club, dove nascono amicizie anche profonde, dove ci si danno appuntamenti anche di lavoro, dove si partecipa ad attività sportive e culturali ecc.

C’è ancora moltissimo da fare per il riconoscimento al diritto di cura delle persone con disabilità. Un diritto che per la vicenda del Santa Lucia ora è sotto attacco. Sai immaginare e descrivere cosa accadrebbe, nella vita dei malati e dei loro familiari, se il Santa Lucia da “Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico” ed alta specializzazione venisse declassato semplicemente a “Casa di Cura”? Quali sarebbero le ripercussioni?

Per molti pazienti e per molte famiglie sarebbe devastante, per moltissimi sarebbe una grande perdita di possibilità di recupero e/o mantenimento delle capacità residue.
Per un numero che non possiamo immaginare di persone che subirà gravissimi incidenti, bambini che nasceranno o verranno colpiti da malattie a volte rarissime significherà, a mio parere, non avere la possibilità di terapie riabilitative a 360 gradi di altissimo livello in un ambiente tecnico-scientifico e logistico d’eccellenza.
Al Santa Lucia ho assistito a veri e propri miracoli, visti da occhi di un non medico, i miei.
Ragazzi incidentati appena usciti dal coma che muovevano solo le palpebre, ora campioni in specialità paraolimpiche o laureati a pieni voti, bambini che hanno iniziato o ri-cominciato a parlare ed interagire con il mondo esterno, paresi ricomposte, patologie neurologiche rallentate …. tutto questo davvero non ha prezzo.
Credetemi, di Santa Lucia e poche altre strutture con liste d’attesa mostruose, nel Lazio dovrebbero essercene almeno altre 5 nella provincia di Roma e almeno una in più per ogni altra provincia.
Un declassamento porterebbe al dimezzamento circa dei costi per la Regione Lazio, ma anche ad una drastica riduzione del personale e degli scienziati attuali, avendo personalmente organizzato congressi scientifici mondiali europei e nazionali: voglio chiamarli così e non “semplicemente” ricercatori.
Voglio sperare che la politica non sia così ottusa e/o non ceda alle “lusinghe” di chi vuole guadagnare soldi facili accogliendo gli anziani, con problemi medici, in crescita esponenziale in Italia.

Se potessi dettare l’agenda regionale rispetto alle decisioni da prendere sull’ospedale Santa Lucia, oltre (immagino) a batterti per impedirne il declassamento, per quale settore di ricerca destineresti più finanziamenti e perché.

I settori di ricerca del Santa Lucia sono diversi e tutti ai massimi livelli, la dimostrazione sono la quantità di progetti ammessi a finanziamento europeo e il numero annuale di pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche del mondo.
A mio avviso, ma posso essere di parte, finanzierei, le ricerche su cervello e cervelletto con tutto ciò che ne consegue per metodi di valutazione e terapie.
Questa è la nuova frontiera della medicina insieme alla genetica ma non solo della medicina, penso alle ricadute nello sport, nell’apprendimento e formazione in qualsiasi settore delle attività umane, l’interesse mostrato dai militari è significativo.
Il Santa Lucia è già ora uno dei maggiori centri di ricerca a livello europeo e quindi mondiale, uno sforzo in più porterebbe l’Italia e la nostra regione al vertice con le ricadute inevitabili anche nei settori collegati, come ad esempio una maggiore visibilità della regione, afflusso di pazienti extraterritoriali, sviluppo e produzione di tecnologie innovative, formazione, convegnistica ecc.

Per tutto quanto descritto sopra mi sono battuto e mi batterò per mantenere e migliorare il Santa Lucia, un declassamento sarebbe un errore madornale, forse una operazione dettata da interessi economici di gruppi/centri di potere economici privati che mettono al centro il profitto e non la comunità. Spero che tutti i pazienti e le famiglie si rendano conto che sarebbe una gravissima perdita, la fine delle grandi stanze a 2 letti, la fine delle terapie di 45/60 minuti con terapisti dedicati in palestra e piscina, fine dei medici super-specializzati, fine anche dei quadri con simboli di pace o simboli di energie positive presenti in ogni dove nel Nostro Club Esclusivo e Inclusivo della Salute, il Santa Lucia.

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